Una fobia da coltivare

Quando uno psicologo invita a coltivare una fobia, o ha a sua volta bisogno di un collega parecchio bravo oppure ha qualcosa da dire di talmente interessante che vale la pena leggere l’articolo fino in fondo.

Quindi, prima di giudicare e optare per una delle due alternative, mettiti comodo, segui quanto ho da dirti oggi e rispondi con me.

  • La fobia è paura, giusto?
  • Tutti gli esseri viventi provano paura, giusto?
  • La paura è quindi un istinto naturale, giusto?

In natura nulla è a caso bensì ha un suo scopo e ruolo specifico.

Giusto?
Mi sembra quasi di vederti annuire con il capo e domandarti “dove vuole andare a parare Federico?. Ti chiedo ancora un attimo di pazienza; vediamo ora se sai rispondere alla prossima domanda:

perché esiste la paura?

Se fossimo seduti l’uno di fronte all’altro ora mi metterei comodo con la schiena spaparanzata sullo schienale della mia bella poltrona e starei a fissarti con il sorriso un po’ sornione di chi sa che conosci la risposta ma tardi a darla per timore di sbagliare; ma quale espediente usare per ottenere il medesimo effetto attraverso un testo scritto e in un colloquio multimediale?

 

Beh, ci ho riflettuto e ho pensato che, mentre osservate estasiati l’immagine da strafigo che ho scelto per fissarvi virtualmente, non sarebbe male mettere una musichetta che faccia al caso nostro e dia il tempo per riflettere e argomentare la risposta. Sono sicuro che la conoscete: è Attenti al lupo di Lucio Dalla, cliccate sul titolo per ascoltarla, oppure, se già siete sicuri, passate subito al testo seguente (comunque non sapete cosa vi perdete. È carina da morire!).

Allora? Fatto?

In attesa di vedere postate le vostre risposte, ecco la mia: la paura esiste perché ha il compito di fare da campanello di allarme in caso di pericoli; insomma, se sana e ben gestita, è la prima e più importante ancora di salvezza che la natura ci offre.

Nente paura dunque della paura! Essa è come il dolore, che ci dice che qualcosa non va e dobbiamo intervenire proprio lì, dove fa male, oppure la febbre, che come una premurosa nonna ci suggerisce “stai a casa e riguardati”.

Ok, se continuo così vincerò il premio di “Dottor Divago dell’anno” in quanto mi sto lasciando prendere la mano e introducendo argomenti che saranno invece oggetto di altre appassionanti puntate del mio blog.

Niente paura (Notare la finezza del gioco di parole, please!), torniamo subito alla nostra “paura” ma prima facciamo un’ulteriore precisazione: la fobia (che nella sua etimologia significa semplicemente appunto“paura”) identifica una forma estrema, che genera angoscia, perlopiù immotivata e patologica. Roba da curare quindi?

Sì, confermo, come tutte le fobie, ma non quella che voglio illustrarvi e che addirittuta invito a coltivare con cura e amore:

la claustrofobia cerebrale.

Tutti sanno che la claustrofobia è la paura dei luoghi chiusi ed è un problema, o comunque può diventarlo anche per la normale conduzione della vita.

Con claustrofobia cerebrale, che non ha alcuna valenza scientifica e neppure
psicologica, intendo invece il sano sentimento di paura e repulsione nei confronti dei cervelli chiusi, delle mentalità ottuse, che non prendono aria neppure durante le pulizie di primavera.

Cervelli e mentalità in catene volontarie, avvolti nel filo spinato per tenere fuori ogni vento di novità, crescita, mutazione.

Il rischio? La putrefazione! Brutto a dirsi, un po’schifoso, ma è così.

Se gli esseri umani hanno una più o meno consapevole paura del chiuso e del buio è perché non siamo fatti né per il chiuso né per il buio, bensì per luce e aria che si rinnova. Non a caso nel buio e al chiuso ci dedichiamo al sonno, dove le attività vitali si rallentano fino al minimo essenziale. Eppure c’è un organo che non si rassegna neppure al sonno, ed è il nostro cervello, la mente, che freme di vita anche attraverso i sogni.

In un articolo postato in agosto ho inserito l’immagine di un capolavoro di Magritte, Il regno delle luci. Siccome la psicologia va a braccetto con l’arte, e senza voler rubare il mestiere a nessuno, vorrei smebrare pezzo a pezzo questa meraviglia e chiedervi quali sensazioni vi provochi.

Si vede una casa fra gli alberi. Un lampione, che indica che è notte, illumina alcune finestre chiuse con dei pesanti scuri a piano terra e ne proietta l’immagine sulla superficie increspata di un lago o di una pozzanghera. Altre, immediatamente al piano superiore e in una specie di torretta, sono totalmente in ombra. Dietro alle fronde filtra la luce di una qualche stanza illuminata. Il cielo sopra alla casa e all’albero è quello del pieno giorno.

Che cosa stuzzica la tua curiosità?

Le tre finestre chiuse ma illuminate che si riflettono sull’acqua? Ha piovuto, un temporale forse, e la famiglia che vi abita ha chiuso fuori il mondo nell’attesa del giorno e del sereno? Oppure è un lago quello che si vede e quelle finestre chiuse nascondono un terribile segreto? È il luogo dove si trovano di nascosto due amanti, oppure è il rifugio di un assassino?

Quelle chiuse e buie della torretta? Esse danno l’idea di stanze disabitate, talmente vuote e inutili da non essere neppure interessate dalla luce del lampione. Anche la struttura è simbolica: una torretta, una sorta di bastione isolato dal mondo e dalla realtà.Chi potrebbe vivere lì dentro? Una principessa prigioniera o un pazzo?

 

 

Quelle illuminate dietro all’albero? Esso stesso è vita, con le sue fronde vigorose e imponenti, e quella stanza che vi si affaccia vibra di vita. Qualcuno che studia? Due amanti che fanno l’amore? Una madre che è accorsa al pianto del bambino? Qualcuno che muore? Può essere; anche questo è un attimo di vita vissuta. Io avrei voglia di entrare e vedere, e tu?

E quel cielo di giorno cosa significa?

Si vedono leggere nubi mosse dal vento filtrare fra le foglie nell’azzurro di un giorno sereno.

 

Piaciuto questo quadro?

Cosa ci vedi tu? Scrivilo nei commenti, ti prego, è importante e interessante.

Io vedo la rappresentazione della mente, che fugge il chiuso, il buio, e si proietta nella luce e nella vita.

Pregiudizi, ostinazioni travestite da tradizioni o consuetudini, vincoli più o meno coltivati con consapevolezza tolgono ossigeno al cervello, lo soffocano, lo ricoprono di polvere fino a renderlo muffa.

Il rimedio?

Avere paura del chiuso, aprire, lasciare che entri una bella raffica di buon vento, dare aria, ripulire, rinnovare, proprio come si fa con le nostre stanze in primavera.

Fatelo, altrimenti puzza di chiuso! Oggi, più che mai … buon vento!

Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie Brevi
Terapia a Seduta Singola
Ricevo a Monterotondo, Fonte Nuova e Online

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