Peperonata Mentale

Masticare senza posa, tutto il giorno.

No, non sto parlando di tuo figlio che mastica gomma pure quando dorme, oppure di te, visto che è un’abitudine radicata in un largo ventaglio di generazioni per quanto rimproverata solo ai più giovani.

Parlo dei ruminanti. Sì, capre, mucche, giraffe, insomma quella categoria di mammiferi che proprio materialmente parlando, rumina. Strappa l’erba con i denti, la ingurgita, la deposita nello stomaco, poi da lì all’occorrenza la fa risalire (gli si ripropone, per dirla in termini umani, un po’ tipo la peperonata alla sera o un intingolo a base di aglio) e la rimastica, la sminuzza, la impasta, e la rimastica, la risminuzza, la reimpasta, la rimastica …

 

Capre, mucche, giraffe, ma non solo. Anche renne, cammelli e su tutti, campione incontestato di ruminazione, l’uomo.

Non mi riferisco alla succitata cena a base di peperoni, che consacrerebbe il mio articolo di questa settimana alle pagine dei problemi digestivi e non di psicologia, ma all’attitudine tutta umana di rimasticare senza posa il pensiero, in una sorta di cosmica peperonata mentale.

Anche i pensieri andrebbero digeriti. È un po’ trash l’immagine? Forse sì, ma efficace.

Proviamo a pensare agli eventi come a un grande prato verde; c’è il lavoro, i rapporti affettivi, la quotidianità da
affrontare nelle sue incombenze dalle più banali e di routinepage1image28814512a quelle eccezionali, i problemi, tanti, i fallimenti, gli insuccessi, facilmente più invadenti e pesanti dei successi e dei risultati. La nostra mente, chinata su quel vasto prato che a ben vedere tanto verde non è, raccoglie tutto e lo impasta formando un bolo che si chiama semplicemente “vita” (ed ecco che sono entrato a pieno diritto nel mondo del trash!).

 

 

Il problema è che analogamente a quello che succede al pasto del nostro amico ruminante a quattro zampe, pure i pensieri ruminati trasformano la loro stessa sostanza in altro, in un pastone confuso, alterato, indistinguibile, cattivo.

STOP! Fermiamoci un attimo e prendiamo un alka-seltzer o un buon digestivo, magari un amaro.

Tempo fa scrissi un altro articolo che ben si adatta al presente. Anche lì, come potete vedere se avete voglia e curiosità di leggerlo o rileggerlo, affrontavo l’argomento su di una base ironica, partendo dall’effetto onomatopeico dell’azione del pensare tradotta in … mumble mumble.

Anche nella parola “ruminare” l’onomatopea è forte e incisiva anche se casualmente non ha attinenza con la sua etimologia che significa semplicemente “gola”. Il suono però, grazie alle due “r” che aprono e chiudono la parola, rende benissimo l’idea della ripetitività del triturare, quasi una pietra che ruota e macina in un ritmo costante.

Quando ci concentriamo su di un pensiero, in particolare su di uno che ci assilla, è inevitabile che esso vada a mescolarsi alle altre migliaia che occupano la nostra mente, inglobandole e trasformando tutto in tormento.

Ruminare con la mente non porta vantaggio, non aiuta a trovare soluzioni, piuttosto il contrario. La ripetitività, che continuando nella nostra metafora trash diventa rigurgito, comporta:

  •  negatività – come abbiamo visto tutto viene inglobato dal pensiero negativo, e fagocitato da esso;
  • incontrollabilità – diventa difficilissimo, se non impossibile, fermare il ripetersi del pensiero;
  • fatica – associata a stanchezza che da mentale si trasforma anche in fisica;
  • ossessione – accresciuta e rafforzata dal circolo vizioso che abbiamo messo in atto;
  • paura – dovuta all’incapacità di riuscire a circoscrivere il problema per cercare di risolverlo;
  • ansia – anticamera della depressione.

No, non siamo ruminanti, non possediamo organi adatti alla ruminazione, neppure mentale. I pensieri ruminati diventano indigeribili, cattivi, tossici, e come ogni cosa indigesta si riflettono anche nell’espressione del viso, nelle spalle.

Il ruminatore mentale assume la postura di chi sta imbarazzato di stomaco, appesantito e quindi assente, persino un po’ infastidito, in punta di chiappa. Non c’è, nel senso che non ascolta, non partecipa. Macina e rimacina il pensiero, che intanto perde lucidità, colore, consistenza, e si trasforma.

E così neppure il problema è più lo stesso. Trasformato, addirittura trasfigurato rispetto a quello di partenza, ingigantito, annerito, imbruttito; impossibile, o comunque estremamente difficoltoso, diventa il trovare una soluzione, faticoso persino il provarci.

Ci si perde, nel circolo vizioso del pensiero negativo che appesantisce e si ripropone come la parmigiana annegata nell’olio fritto. Almeno però quella è buona, per la miseria!

E allora?

Allora niente, ci tocca ricorrere al digestivo.

La psicoterapia fa però parecchio di più che offrire un ammazzacaffè, piacevole ma dall’effetto solo momentaneo e mirato al caso specifico; si spinge oltre, insegnando a non ruminare più.