… e se voi foste un paio di calzini … vi sarebbe utile un uovo.
No, non ho bisogno di uno psicologo, tranquilli … anzi, sì, ne avrei bisogno nella misura in cui chiunque ne ha bisogno, ma quest’affermazione non c’entra nulla!
Che c’azzecca l’uovo con i calzini?
Se non riesci a capire sei forse troppo giovane per aver visto uno dei più straordinari strumenti di sopravvivenza domestica degli anni appena passati; straordinario proprio in relazione alla sua estrema semplicità, al bassissimo costo, alla versatilità e alla durata pressoché perenne.
Parlo di un banalissimo uovo, ma di legno. L’ultima volta che ne ho visto uno è stato qui, a Monterotondo, in mano a un’anziana signora seduta a cucire sulla soglia di casa, come se il tempo non fosse mai trascorso.
Ma andiamo per ordine.
Forse è un po’ dissacrante paragonare quel miracolo d’amore che è la coppia a un paio di calzini, di pedalini, per dirla con un termine caro al dialetto romanesco, lo ammetto, però calza … tanto per restare in tema, e ora cercherò di spiegarvelo.
I calzini sono una forma di coppia per certi versi perfetta; uguali ma autonomi, insieme non per costrizione ma perché ci stanno bene, avvolgenti, caldi. Quando uno dei due si perde nel mistero cosmico della lavatrice o negli oscuri anfratti di qualche cassetto, l’altro si rattrista e rimane piegato ad aspettare il fortunato, quanto improbabile, ritrovamento del compagno, fino a cadere nell’oblio.
L’infeltrimento li colpisce a coppia, dopo parecchio utilizzo, decretandone una gloriosa fine comunque insieme.
Nei cassetti spesso dormono appallottolati l’uno nell’altro, per paura di perdersi, oppure per non cadere in tentazione data la vicinanza con altre coppie magari di nuova filatura.
Entrambi lunghi, entrambi corti, entrambi invernali o estivi, neri o colorati; nati insieme, usati insieme, lavati, centrifugati e stesi insieme. Un medesimo destino, perfetto, fino a che …
… un giorno, la catastrofe: un alluce spunta, un tallone occhieggia dalla scarpa. È il temutissimo buco, la principale causa – assieme all’incognita della lavatrice e del cassetto che però lascia un margine di speranza di ricongiungimento – della fine.
Per il compagno “sano” resta poco da fare. I più fortunati dopo un breve periodo di vedovanza ottengono una nuova unione con un altro vedovo compatibile per caratteristiche fisiche quali altezza e peso, i più però finiscono nel cassonetto, oppure ai lavori forzati a lucidare scarpe.
Questo perché un calzino bucato, rotto, non ha futuro. Non più. Non oggi, neppure se lo strappo è piccolo. Anche il più piccolo dei buchi è destinato ad allargarsi,anche il più minuscolo diventerà a breve fastidioso, insopportabile … e brutto, fortemente brutto e infamante a vedersi.
Per ogni coppia di calzini arriva il momento in cui il tessuto di almeno uno dei due si logora.
Difficilmente avviene per entrambi nello stesso tempo.
“Perché? Perché ti sei bucato se io invece sono ancora intatto? Eppure ci muoviamo assieme, viviamo lo stesso destino, le medesime giornate, indossiamo i medesimi orridi piedoni e le stesse scarpe, sopportiamo uguale usura. A me non è successo nulla. E tu? Tu invece hai una vistosa e fastidiosa lacerazione da cui spunta un mignolino; tu hai lasciato che un buchino diventasse voragine …”.
Bene, dopo quest’improbabile grido di dolore fra pedalini che mi precipita di diritto in vetta alla classifica del trash (ma che tuttavia mi ha divertito e stimolato, sperando che anche in voi abbia sortito il medesimo effetto), ecco giunto il momento di svelare il ruolo salvifico dell’uovo di legno.
Sì, sto parlando di rammendo.
Arte difficile, quasi del tutto persa. Purtroppo (sia per i calzini “fisici” che per quelli metaforici!).
È ovvio che rammendo non è sinonimo di miracolo e laddove lo strappo è voragine o il tessuto troppo logoro per sopportare un intervento, del tutto inutile.
Se però ci troviamo di fronte a un buchino o a una ferita i cui margini sono comunque accostabili, con sapienza e delicatezza si può lavorare di ago e di filo fino a renderli invisibili, come se non ci fossero mai stati.
A cosa serve l’uovo? A evitare di tramutare il rammendo in quello che mia nonna definiva “fico secco”, ovvero in un ammasso duro e informe, nonché di scarsa tenuta, fastidiosissimo durante la camminata, ancora più del buco sull’alluce!
L’uovo di legno sapientemente sa scivolare all’interno, dove tendendola trama sottile ne scova i punti deboli, le parti usurate, i piccoli buchi. L’uovo di legno, con la sua forma perfetta e dolcemente arrotondata mantiene in posizione i lembi rendendone agevole la ricucitura. Certo, dev’essere un buon uovo, liscio e scorrevole ma non troppo così da rischiare di scivolare fuori, leggero e robusto da essere maneggevole e affidabile a un tempo.
Terminato il lavoro su uno, l’uovo di legno scivolerà all’interno dell’altro per scovare anche in esso eventuali falle. Ecco a voi un paio di calzini non nuovi, ma di nuovo perfetti.
Lo devo ammettere che è stato un esercizio retorico parecchio azzardato e non facile da esporre senza rischio di contraddizioni e fraintendimenti, e aspetto da voi conferma che ci sono in un modo o nell’altro riuscito, magari anche divertendovi.
Ciò che intendevo far arrivare è l’eventualità di prendere in considerazione l’idea che non tutto è da buttare solo perché mostra una falla.
Nello specifico, riferendomi al rapporto di coppia, è molto frequente che lo strappo avvenga nel tessuto affettivo di solo uno dei due, così come è frequentissimo che da un piccolo problema si arrivi per trascuratezza alla lacerazione, e la strada di una coppia col buco è dolorosa, fastidiosa e difficile da percorrere quanto quella con il ditone scoperto che batte sulla tomaia.
La tentazione di buttare via tutto è grande, anche perché siamo vittime (passatemi il termine) di una sorta di consumismo non solo materiale ma anche mentale e senti-mentale.
Mollare alla prima difficoltà, pensare che sia tutto sbagliato solo perché non è tutto perfetto, o per paura che il rammendo non tenga.
Il fatto di base è che un buon rammendo, eseguito a regola d’arte e con il supporto del mitico uovo, non si limita a ricucire lo strappo, ma ne ripristina l’originaria struttura, addirittura rinforzandola. È come – per elevarci a una metafora decisamente più nobile – il restauro di un’opera d’arte rovinata dal tempo.
Perché ogni coppia è sì un paio di calzini, ma anche un capolavoro.