E se fossi veramente solo?

E se fossi veramente solo? Quanto lo desideri!

Se arrivasse una specie di Fata Madrina, tutta azzurra e glitterata, un po’ cicciottella e paciosa come quella delle favole, e con un bidibibodibibù facesse sparire tutta quella gente che non reggi più?

Ok, sognare non costa niente; da dove cominciamo?

Pensaci bene! Tirati giù una lista magari, tipo quella della spesa, una bozza in ordine d’importanza di  quelli che più ti stanno sui … sui figli di Zebedeo, teologicamente parlando. 

Allora, ci sei?

Amici, parenti, colleghi … non ci sono vincoli che tengano.

 

Partiamo da un grande classico: i vicini di casa. Chi non ne ha almeno uno che sembra sia su questa terra al solo scopo di infilarti un bastone fra le ruote della vita … ? È  così ovunque, in base a quell’assunto che tutto il mondo è paese, anzi, condominio, da New York a Monterotondo, passando per Parigi e Canicattì. Ovunque c’è un vicino di casa che strombazza perché non riesce a uscire con la macchina, anche se è una Smart e ci passerebbero due Tir in sorpasso. Uno che ce l’ha col tuo cane perché abbaia, piscia e ha i peli, perché secondo lui un cane dovrebbe avere più o meno lo sprizzo vitale e l’ingombro di un peluche. Uno che non conosce il significato di “ca … voli propri”, che passa la tua posta sul vapore della pentola e la rificca in cassetta mezza aperta, che si lamenta per il ticchetettacchete dei tacchi anche se in famiglia indossate tutti i pantofoloni della nonna, che non riesce a prendere sonno per via della tua musica, pure se la senti con le cuffie. Uno che tiene a registro tutte le tue performance amorose, e che magari batte il soffitto con la scopa proprio sul più bello.

Una sciabolata di bacchetta e via: sparpagliato in milioni di evanescenti particelle. E gli è andata pure bene!

Anzi, già che ci siamo perché non far sparire tutti i condomini?

In fondo hai sempre desiderato una casa solitaria nascosta nel bosco. Per il miracolo del bosco la nostra fata in effetti non è ancora attrezzata, però comincia col prendere e portare a casa quel che viene!

Già meglio? Insomma … ancora percepisci un eccesso di assembramento, tanto per usare una parola parecchio di moda.

E allora andiamo a sbirciare sul posto di lavoro. Anche qui si fa buona pesca: i colleghi! Brutta razza i colleghi. Urge una bella pulizia! Quanti ne vorresti veder dissolversi in una nuvola di impalpabile nulla? Tutti? Ma sì, dai, facciamo come Highlander: “Ne resterà uno solo!”, e quell’uno sarai tu.

Partiamo dal collega con la sindrome del leccaculo, sempre prono, viscido, un incrocio raccapricciante fra Fracchia e il ragionier Filini, che comunque riesce a conquistarsi sempre un angolino privilegiato. Poi quello arrogante, lo “scànsete, levati che faccio io”; cammina a qualche centimetro da terra, anche per non intaccare le suole dei mocassini di finissima fattura,  non sbaglia un colpo, non manca un tempo, una consegna, non fa un passo falso neppure se c’è da scalare una montagna di ghiaccio. È lui che risolve, anche le tue cavolate; è a lui che tutti guardano e s’inchinano. Via! Non ne sentirai la mancanza. Ma non basta. C’è anche il perenne assente, il genio della locuzione “in malattia”. Da che lavorate insieme ha avuto almeno otto appendiciti, coliche a cadenza settimanale, ha tolto una decina di denti del giudizio e risolto il problema della scarsità delle nascite con i suoi dodici parti, alcuni gemellari. Una vera e propria enciclopedia medica dall’alopecia alle zecche su due gambe, ovviamente artritiche; a metterli assieme e calcolarli in abbondanza, avrà lavorato sì e no quindici giorni nell’arco della sua vita. Colpo di bacchetta e via, sparato nell’iperuranio assieme agli altri due e a tutti gli altri: il migliore, il peggiore, quello che c’era prima di te e quello che è arrivato appena ieri, quello poi che arriverà domani. Via tutti!  Fata Madrina pensaci tu, perché un collega di lavoro finisce per essere odioso a prescindere. 

Allora, com’è? Cominci ad assaporare questo impareggiabile gusto di solitudine?

No, non basta, ne sono sicuro. Ancora, come l’orco di Pollicino, … ucci-ucci … senti odore di umanucci! Lo sapevo che più si va avanti più viene l’acquolina, un po’ come con gli stuzzichini dell’apericena. La smania di solitudine è così. Del resto come potrebbe essere altrimenti? La solitudine è una condizione che non prevede vie di mezzo.

E allora andiamo avanti, senza timori, senza peli sulla lingua, senza tentennamenti e sciocchi sentimentalismi.

Sì, è vero, c’è ancora la gente comune che si potrebbe far sparire, gli sconosciuti, coloro che gravitano nella sfera del casuale ma non per questo meno fastidiosi. Ma il vero problema non è lì.

Confessalo. È l’unico modo per arrivare a ottenere quella solitudine perfetta e tanto desiderata. Il problema è in casa, in famiglia. Il vero fastidio, il vero peso è lì, fra quelle quattro mura soffocanti, che sembrano stringertisi addosso come in un incubo alla Allan Poe. Il partner, la partner, i figli, i genitori, i fratelli … tutti sottraggono spazio vitale, tutti consumano prezioso ossigeno e ti provocano i neuroni.

Insopportabili, vero? Sì, gli vuoi bene, è innegabile, ma sono assolutamente insopportabili, invadenti, soffocanti, menefreghisti delle altrui esigenze. Delle tue esigenze, per essere precisi (in fondo di quelle degli altri che te ne frega!). Quante volte hai invidiato il viaggiatore solitario, il lupo di mare e quello di terra, colui che stanotte dormirà sotto le stelle e non deve rendere conto a nessuno se è stanco, nervoso, deluso. Voci, voci e ancora voci che si sovrappongono, spazi perennemente occupati ovunque, bagni con più andirivieni che alla sagra per la festa del santo patrono del paese. E con la storia del lockdown la faccenda è pure peggiorata!

Chiudere gli occhi e farli sparire tutti … un tocco di bacchetta, un attimo, senza che soffrano. In fondo ne sei consapevole che il problema non sono loro, ma sei tu, che l’esigenza di solitudine è del tutto tua e loro sono incolpevoli. Ma cosa ci puoi fare? È la tua natura a esigere aria, spazi, silenzi.

Che sogno, vero? Andare in cucina e trovarla vuota, silenziosa, ma magari con la cena in caldo nel forno, … perché no! Passare in sala e scoprire che nessuno sta guardando la televisione, che il telecomando è libero, dopo anni di schiavitù, che il divano è immenso e comodissimo. È la prima volta che riesci a distenderci pure i piedi, ed è un’emozione quasi commovente. Nulla però al cospetto del groppo alla gola quando scopri che nessuno sta colonizzando il bagno! E poi il letto … un po’ freddino per la verità, ma chissenefrega, per la miseria. In fondo è da un pezzo che quel corpo che ti dorme accanto ti pare scontato, che ha perso carica erotica, attrattiva.

Dunque ce l’hai fatta. Eccola, la mitica solitudine! 

Riassumendo:

i condomini sono scomparsi

sul lavoro non ci sono più né colleghi né rivali

in casa sono scomparsi tutti, pure il gatto

fuori non c’è nessuno, in strada, nei negozi … anzi, non c’è neppure più la strada dato che non c’è nessuno che ci deve passare, non ci sono più i negozi, non ci sono più i palazzi. Non è ancora la casa nel bosco ma abbi fede, perché il bosco arriverà, col tempo crescerà laddove hai voluto il deserto.

Anche la fata Madrina è sparita.

Eccola, la tanto desiderata solitudine.

Bella, vero? Dai goditela!

 

Nessuno che ti rompe le scatole, nessuno che t’infastidisce con la sua stessa esistenza, con la voce, con l’odore, con il modo i masticare. L’hai desiderato tanto, per la miseria. Che c’è ora che non va? Cos’è quell’aria spersa?

Ah no? Non è questo che intendevi? 

Cosa cavolo pensavi che fosse la solitudine? Un vuoto a rendere? Un capriccio a uso e consumo? Un dvd da interrompere se ti annoia? Un’orecchia nella pagina di un libro?

La solitudine è solitudine, non conosce mezze misure. L’ho già detto prima? Lo so, ma giova ripeterlo, perché troppo spesso la si mitizza. È un indubbio atto di coraggio, ma innaturale e pure del tutto inutile. Ogni atto che compiamo, ogni pensiero che abbiamo, sono concepiti per onorare il nostro essere animali sociali: lo scegliere cosa indossare, il consumare un pasto, la parola, che siamo stati in grado di creare dalla sola emissione di suoni, la scrittura, il leggere questo mio articolo …

Siamo ciò che siamo solo in funzione degli altri, degli affetti che possiamo far nascere o morire. 

Quando sentiamo il desiderio di solitudine in realtà ci prendiamo per i fondelli da soli: abbiamo solo bisogno di attimi nostri in cui stemperare stanchezza, tensioni. Sono attimi che possiamo e dobbiamo prenderci, talvolta anche per sopravvivenza, ma non dobbiamo confonderli con la solitudine.

La solitudine, quella vera e non metafora, è brutta, è arida, è malata. E poco c’entra con ciò che ci circonda. È una condizione interiore che porta spesso oltre, là dove arrivare è facile, ma tornare indietro è difficile, quasi impossibile da soli. 

Ebbe a dire Jean Paul Sartre, scrittore, ma soprattutto pensatore, filosofo e grande pittore della psicologia umana attraverso la parola: 

Se sei triste quando sei da solo, probabilmente sei in cattiva compagnia.

Proviamo a conoscerla assieme questa compagnia, per vedere se poi è così cattiva oppure vuole semplicemente sembrare tale per autodifesa? Vediamola questa casetta nel bosco. Cerchiamo assieme la strada, proviamo a scoprire se per caso è di marzapane. Bruciamo allora la strega cannibale che la abita e cambiamole arredamento. Scommettiamo che possiamo renderla accogliente e abbastanza grande per starci pure in tanti (escludendo il vicino scassapalle ovviamente), compresi il cane, il gatto, la fata Madrina e magari pure il sottoscritto per un brindisi? 

Buon vento 😉

Federico Piccirilli

Psicologo, Psicoterapeuta

Terapie Brevi

Terapia a Seduta Seduta Singola

Ricevo a Monterotondo (RM), Fonte Nuova (RM) e ONLINE