Un grido nel silenzio

Ci sono giorni in cui mi sveglio e mi sembra che il mondo sia un posto troppo grande, troppo rumoroso, troppo veloce. Il futuro? È una parola che mi fa paura. Come posso pensare a ciò che verrà quando mi sembra che tutto stia crollando intorno a me? Eppure, mi sento come se dovessi correre, sempre più veloce, come se non avessi il tempo di fermarmi nemmeno per un secondo. La società mi dice che devo essere perfetto, che devo avere successo, che devo sempre fare di più, e se non lo faccio, mi sento come se non valessi nulla.

A volte penso che nessuno capisca davvero. Mi sento solo, anche quando sono circondato da persone. Come se il mio disagio fosse invisibile agli occhi di chi mi sta vicino. Non posso parlare, non posso essere debole. Se lo facessi, se dicessi quello che sento dentro, probabilmente nessuno capirebbe o, peggio, mi giudicherebbero. Quante volte mi sono sentito dire che “devo essere forte”, che “è solo un periodo” e che tutto passerà? Ma nel frattempo, mi trascino in un silenzio che mi consuma.

C’è qualcosa di estraneo nelle relazioni che ho. Amici? Forse, ma spesso è difficile trovare qualcuno con cui parlare davvero, qualcuno che ti guardi negli occhi senza aspettarsi da te un sorriso o una battuta per nascondere ciò che senti. Mi sembra che tutti stiamo vivendo in un mondo dove nessuno si ferma veramente a guardare l’altro. È tutto un apparire, un dare sempre la versione migliore di noi stessi sui social, ma poi, nel profondo, ci sentiamo più vuoti che mai.

E poi c’è la violenza. Non è solo quella che sentiamo nei notiziari, è quella che vediamo intorno a noi, nei gesti quotidiani. È nelle parole dure, nelle risse, nei litigi tra amici, nelle discussioni con i genitori, nell’insofferenza che cresce dentro di noi. Ma è anche quella che ci portiamo dentro, una rabbia che non sappiamo come esprimere, un dolore che cerchiamo di nascondere con il silenzio o con l’ironia. E alla fine, la violenza esplode, all’improvviso, perché non abbiamo mai imparato a gestire questa tensione, questa frustrazione che ci cresce dentro senza sosta.

A volte, mi sento perso. Sospeso tra il voler essere accettato e l’avere paura di perdere la mia identità. Mi sembra che tutti ci aspettano qualcosa da me, ma io non sono sicuro di cosa voglio davvero, non sono sicuro di chi sono. Eppure, c’è un desiderio di appartenenza, di sentirmi parte di qualcosa, ma tutto sembra così fragile, così precario. Allora mi ritiro, mi isolo, e la solitudine diventa il mio rifugio.

Non voglio sembrare triste, ma è difficile sorridere quando dentro c’è un vuoto che non riesco a colmare. La gente dice che “passerà”, ma il tempo sembra allungarsi all’infinito. Voglio essere compreso, voglio che qualcuno mi veda davvero per quello che sono, non per l’immagine che gli altri si aspettano che mostri. E so che non sono solo in questo. So che tanti come me vivono lo stesso disagio, lo stesso senso di frustrazione e incertezza. Ma non sappiamo come parlarne, non sappiamo come fermarci, come chiederci aiuto.

Questi sono i pensieri dei nostri giovani. Gli adolescenti di cui tutti parlano. I nostri uomini e le nostre donne del futuro. Molti di loro si rivolgono a me, nel mio studio di Monterotondo oppure online.

Forse, dopo aver letto queste parole, ti starai chiedendo: “Come dobbiamo comportarci con gli adolescenti?”

Cosa vuol dire essere adolescenti oggi? 

Per avvicinarci a loro scriverò questo articolo con la loro voce, in maniera tale da poter fare per una volta quello che non riescono mai a fare davanti agli adulti: avere una voce.

Siamo sospesi tra il desiderio di libertà e la paura di non essere abbastanza, di non riuscire a trovare il nostro posto nel mondo. Ma c’è qualcosa che ci sfugge, un abisso che si allarga sotto i nostri passi, qualcosa che cresce dentro di noi in modo silenzioso e pericoloso. La violenza, quella che esplode in un urlo o in un gesto insensato, è la nostra compagna invisibile. Non è solo quella che vediamo nei telegiornali, che si trasforma in numeri, come quelli dei femminicidi che ci straziano l’anima e ci lasciano senza fiato. No, è quella che si annida in noi, nelle nostre paure, nelle nostre frustrazioni, nella mancanza di un futuro che sembra sempre più incerto.

C’è qualcosa di oscuro nei nostri cuori, qualcosa che esplode, che brucia, che ci fa cadere nel vuoto. Pensiamo a Sula e Campanella, nomi che ormai sono diventati simboli di un dramma che non possiamo più ignorare. Due giovani vite strappate via, brutalmente, in un gesto che ci fa riflettere sulla violenza che sta crescendo tra noi. La violenza non è solo fisica, non è solo quella che vediamo nelle risse o nei momenti di rabbia cieca. È anche quella che non vediamo, quella che si nasconde nei gesti quotidiani, nelle parole non dette, nell’ombra di una casa che non è più un rifugio.

Siamo cresciuti in un mondo che ci ha insegnato a essere sempre più forti, sempre più invincibili, ma non ci ha mai mostrato come affrontare la fragilità. I genitori sono la nostra ancora, eppure, spesso, sembra che non ci siano abbastanza per fermare la tempesta che ci attraversa. Non basta dire «ti voglio bene», se non c’è uno spazio vero per esprimere le nostre emozioni. Non basta una carezza, se la comunicazione non c’è mai stata.

Abbiamo paura. Paura di non essere capiti, paura di essere giudicati, paura di non essere abbastanza. In un mondo che corre veloce, che ci spinge a essere sempre più, a fare sempre più, siamo diventati una generazione di disperati silenziosi. Non possiamo più sopportare il peso di questo vuoto che ci schiaccia. È per questo che a volte, purtroppo, esplodiamo. E quando esplodiamo, lo facciamo in modo violento, come se quella violenza fosse l’unica risposta che conosciamo.

Ma non è la via giusta. Non è la via che vogliamo percorrere. Perché alla fine, dopo ogni gesto di rabbia, dopo ogni parola detta con violenza, restiamo soli, persi. E il dolore ci segna, più di ogni altra cosa. La violenza non ci fa più forti, ci fa più fragili, più vulnerabili. E ci distrugge, giorno dopo giorno, mentre i genitori continuano a guardare impotenti, incapaci di vedere ciò che siamo davvero. E noi, a nostra volta, non sappiamo più come dirlo, come urlarlo, come farci ascoltare.

Cosa devono fare gli adulti per capire gli adolescenti?

Forse la soluzione non è trovare una risposta immediata, ma imparare a ascoltarci, imparare a riconoscere la sofferenza che si nasconde sotto ogni gesto. Forse dobbiamo ripartire da un dialogo sincero, da uno spazio di empatia che non sia solo una parola vuota, ma una pratica quotidiana. I genitori, devono diventare più che mai i nostri compagni di viaggio, pronti a fermarsi, ad ascoltarci davvero. Devono essere capaci di entrare nelle nostre vite, senza paura di mostrarci le loro, senza temere di essere vulnerabili anche loro.

Adesso, più che mai, abbiamo bisogno di un mondo che non ci giudichi, che non ci faccia sentire inadeguati, che ci dia uno spazio sicuro per crescere. Non vogliamo più rimanere intrappolati in questa spirale di violenza, di rabbia che ci consuma. Vogliamo respirare, sentire che ci sono possibilità, che la vita non è fatta solo di conflitti, ma anche di complicità, di amicizie, di cambiamento.

È un cammino che può essere affrontato solo insieme, con il supporto delle famiglie, delle scuole e della comunità. Solo attraverso il dialogo, l’ascolto e l’impegno reciproco possiamo sperare di costruire un futuro più sereno e rispettoso per tutti.

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Buon vento 😉

Federico Piccirilli

Psicologo, Psicoterapeuta

Terapie Brevi

Terapia a Seduta Singola

Ricevo a Monterotondo (RM) e ONLINE