E se domani…

“dopotutto, domani è un altro giorno”

La bella Vivien Leight, con gli occhioni verdi sognanti sotto a un enorme cappello di paglia, ha fatto la sua fortuna e decretato l’immortalità grazie a questa frase. Qualcuno di voi l’avrà riconosciuta, è tratta da Via col Vento e lei è Rossella O’Hara

 

 

Ma non è tutto. Anche la divina Mina ci ha messo il becco, negli anni ’60, inducendo milioni di italiani a canticchiare, per strada, sotto la doccia, sul lavoro:

E se domani 
e sottolineo “se” …

 

Una decina di anni dopo ha rincarato la dose pure la Vanoni:

Domani è un altro giorno, si vedrà

 

 

 

 

A Hollywood e fra le note tutto ciò non fa una piega.

Ma quando quel “domani” non c’è, che fare?

Primo, in questa frase c’è un errore, vediamo chi lo scova.

L’hai trovato?

Se , siamo a cavallo, se invece ancora lo stai cercando, beh, allora abbiamo un problema.

L’errore sta nella negazione accanto al verbo essere: ho scritto “quando non c’è un domani”, ma ciò è un assurdo, un paradosso, perché un domani c’è comunque, bello o brutto che sia, atteso o temuto, roseo o buio, sempre e comunque un domani è.

 

E che cos’è un domani? Un domani non è nient’altro che una porta aperta.

In realtà, se volessimo continuare con il giochetto strizzacervelli del paradosso, potremmo affermare, senza timore di smentite, che in quell’errore si cela una verità, ovvero che il domani in effetti non esiste, essendo semplicemente l’oggi che deve ancora arrivare.

Troppo complicato, rischiamo di scivolare nella filosofia e fonderci il cervello  prima della fine dell’articolo, senza aver risolto un bel niente.

 

 

Allora non ci resta che avvicinarci a quella porta e provare a guardare su cosa si apre:

 

Ipotesi 1) Rose e fiori

Ma che bel panorama! Cielo azzurro e prati in fiore. Beh, attraversarla non sarà un problema ma un piacere! Scommetto che hai già la valigia pronta.

 

 

 

Ipotesi 2) L’incognita

Mmmmm … quello che c’è al di là non è molto chiaro. Non pare brutto ma comunque non è chiaro. Non è che hai una gran voglia di attraversala, tutto sommato. Comporta un’incognita che ti induce a pensare “ma chi me lo fa fare! Meglio restare a pancia all’aria sul divano

 

 

 

Ipotesi 3) La necessità

Varcarla non è una scelta ma una necessità. Il problema è che capita pure di dover fare la fila talvolta! Brami aprire quella maniglia e infilarti dentro non tanto per scoprirne la bellezza ma piuttosto per una tua personalissima liberazione!

 

 

 

Ipotesi 4) La sicurezza

Però! Sembra confortevole e tranquillo. Non si va da nessuna parte ma in fondo è rassicurante; significa semplicemente spostarsi da una stanza a un’altra più o meno uguale.

 

 

 

Ipotesi 5) L’incubo

Ok, siamo sul set di “Non aprite quella porta!”. Terrore e brivido! No grazie! Ci tengo alla pellaccia. Io da qui non mi muovo.

 

 

 

Ipotesi 6) Il Guardone

Va bene, ammettilo, sei uno spione! Guardare dal buco è più comodo che avere il coraggio di spingere la maniglia ed entrare. Se quello che vedi ti piace, bene, allora apri come se niente fosse e vai, se invece non ti piace, te ne stai lì bello fermo e aspetti che prima poi il panorama sia migliore.

 

 

 

Dopo tutte queste ipotesi, divertenti metafore di come ti approcci a entrare nel tuo domani, la realtà è che il panorama che si apre al di là di quella porta è mutevole e l’artefice di quello che ci sarà sei essenzialmente tu.

 

 

 

 

Ora prova a rivedere quelle sei ipotesi in quest’ottica:

  1. Rose e fiori. Possono esserci prati in fiore e uccellini che cantano nel cielo azzurro, ma presto scenderà la notte e non ci sarà più luce, e poi muteranno pure le stagioni e arriverà l’inverno.
  2. L’incognita. C’è un’incognita, è vero, una strada di cui non vedi la fine. Se però non la percorri non saprai mai dove porta, e hai almeno il 50% delle possibilità che la meta ti piaccia. Se non dovesse piacerti, beh, puoi sempre tornare un pelino indietro e infilare una qualche stradina laterale.
  3. La necessità. Wow, è stata una bella liberazione, non c’è che dire. Non ce la facevi più. Bene, ora che ti sei liberato, guardati intorno, probabilmente c’è uno specchio. Approfittane per osservare attentamente la tua immagine riflessa.
  4. La sicurezza. Non ti piacciono granché i cambiamenti, si è capito, e una bella stanza simile a quella dove stai ora ti rassicura. Tranquillo, nulla di male; anche i gatti detestano i cambiamenti eppure vivono benissimo.
  5. L’incubo. “Non aprite quella porta!”.  Ma che razza di fifone sei? I fantasmi e i mostri non esistono, vai pure tranquillo. Probabilmente l’ambiente che troverai ha solo bisogno di una bella ripulita.
  6. Il guardone. Spiare non è bello. Mettitelo in testa. Non ci fai una gran figura, né con te né con gli altri. Pensa se passa qualcuno e ti vede chinato con il sedere per aria! Quindi, o prendi coraggio ed entri, oppure te ne resti lì buono a fantasticare su che cosa mai ci sarà là dietro, evitando di dare fastidio a quelli che invece già stanno oltre.

 

Ma perché la porta del domani spaventa tanto?

È perché siamo portati a darle troppa importanza, o la temiamo o riponiamo in essa speranza eccessiva.

Esiste un trucco per evitare che ciò accada, e si ricollega a quei cavilli filosofici cui ho accennato all’inizio: il domani non è altro che l’oggi che sarà, e pertanto se viviamo bene l’oggi necessariamente vivremo bene il nostro domani.

Ci vuole veramente pochissimo, e ancora non lo abbiamo capito anche se ce lo ripetono da anni, pure in versi.

Tu ne quaesieris, …

…Dum loquimur, fugerit invida aetas:

carpe diem ….

 

È Orazio, qualche anno prima della nascita di Cristo e ti chiedo di leggerla molto attentamente. … Ok, la traduco …

Tu non chiedere, non è lecito saperlo, quale fine gli dei abbiano dato a me e quale a te, o Leuconoe, e non consultare gli oroscopi babilonesi.

Come sarebbe meglio sopportare qualunque cosa sarà,

sia che Giove abbia concesso molti inverni sia che ci abbia concesso come ultimo

quello che ora fiacca il mar Tirreno sulle opposte scogliere:

sii saggia, mesci i vini, e in breve tempo tronca la lunga speranza.
Mentre parliamo, fuggirà il tempo invidioso:

afferra il giorno, quanto meno fiduciosa possibile nel domani.

 

Generazioni di furboni e somari hanno stravolto il senso di questo capolavoro del pensiero, che ha reso eterno l’autore, cercandovi giustificazione per una condotta di vita all’insegna del “Massì! Volemose bene!  E checcefrega!”. È più comodo interpretarlo in questo senso oppure semplicemente non è stato proprio capito?

 

Eppure, a leggerlo con attenzione (è per questo che l’ho riportato tutto!), è molto chiaro, detto a chiare lettere. Non ha senso indagare cosa sarà, già solo mentre parliamo (o leggiamo, o scriviamo …) il tempo trascorre, e quindi il domani diventa presente: afferralo e avrai in pugno il futuro.

 

 

Ormai non dovrei neppure più ripetertelo ma, se senti che la presa è difficile, o troppo debole per afferrarlo,  io posso aiutarti a rinforzarla, perché quasi sicuramente la forza ce l’hai ma non sei in grado di usarla, magari perché ne hai paura.

Chiamami, non perdere troppo tempo (te lo dice pure Orazio che il tempo fugge!), magari fallo su Skype, e vedrai che insieme la tireremo fuori, e quando avremo finito ti renderai conto che è già domani. Capirai anche che tenendo ben salda quella stretta sull’attimo che stai vivendo, sarai sempre in contatto con il domani.

Carpe diem e lasciati trasportare da un buon vento!

Federico Piccirilli

Psicoterapeuta, Esperto in Terapie Brevi

CONSIGLI DI LETTURA:

Spencer J. (2004)
Il presente. Cogli l’attimo e poi tienilo ben stretto!
Nardone G. (2009)
Problem solving strategico da tasca. L’arte di trovare soluzioni a problemi irrisolvibili

Seneca

L’arte di vivere

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