Quando il mondo trema

Viviamo tempi fragili, e non è solo una metafora. È un sussurro che attraversa i notiziari, si insinua nelle conversazioni a cena, fa eco nei sogni di chi si addormenta con il cuore pesante. Le guerre che divampano in angoli più o meno lontani del mondo si affacciano con forza nella nostra quotidianità.

Non siamo in trincea, eppure tremiamo. Non sentiamo le bombe, ma ci portiamo dentro il rumore. Le ansie legate ai conflitti globali sono reali, profonde, e meritano attenzione.

Molte delle persone che si rivolgono a me, nel mio studio di Monterotondo oppure nei percorsi online, portano con sé proprio questa preoccupazione silenziosa e profonda. Non è solo l’ansia per il futuro, ma un senso diffuso di smarrimento, una paura che spesso non ha nome ma si sente tutta nel corpo, nel respiro, nei pensieri che non si fermano. È come se il dolore del mondo bussasse alla porta della loro interiorità. Ed è lì, in quello spazio intimo, che cominciamo insieme a dare senso, contenimento, respiro.

In questo articolo, proveremo a comprendere cosa accade dentro di noi quando il mondo là fuori sembra collassare. E soprattutto, esploreremo insieme come prenderci cura di quella parte fragile, ma resiliente, che ci tiene in piedi: la nostra psiche.

La guerra dentro: quando la paura si fa eco

Quando sentiamo parlare di guerra, anche se distante, il cervello reagisce. Non fa distinzione tra ciò che è vicino e ciò che è lontano come farebbe un geografo. Reagisce con una percezione primordiale del pericolo. Le immagini, i racconti, i numeri, le lacrime: tutto arriva come un’ondata. Per molti, ciò scatena ansia generalizzata, senso di impotenza, insonnia, tensioni muscolari, oppure quella strana sensazione di vuoto, come se tutto ciò che prima sembrava importante perdesse improvvisamente significato.

Il cuore si stringe per empatia, ma anche per timore. E allora ci chiediamo: “E se succedesse anche qui? Se fossimo noi i prossimi? Se il futuro fosse davvero così incerto come sembra?”

Queste domande sono umane. Non sono debolezze, sono segnali. Sono richieste d’aiuto che ci mandiamo dentro, piccoli messaggi in bottiglia dal nostro inconscio che cerca appigli.

Il peso del mondo sulle spalle: perché ci sentiamo responsabili

Molte persone oggi vivono una forma di sofferenza empatica. Sentirsi male per le guerre, anche senza esserne direttamente coinvolti, è un’espressione dell’empatia più profonda. È il riconoscimento che l’umanità è un grande corpo collettivo, dove il dolore di uno si riflette in molti.

Ma questa connessione può anche diventare travolgente. Soprattutto in un’epoca in cui siamo costantemente esposti a informazioni, video, immagini e opinioni. In pochi minuti possiamo passare da una pubblicità di scarpe a un bombardamento. Questa dissonanza destabilizza, crea un senso di vertigine emotiva. Ci troviamo a cercare risposte impossibili, a sentirci colpevoli per non fare abbastanza, a vergognarci delle nostre vite “normali”.

E allora come si fa? Come si vive in un mondo così ferito senza smettere di sperare, senza farsi sommergere?

Accogliere la paura, non negarla

Il primo passo è accogliere. Non cercare di reprimere le emozioni, non giudicarle. Se provi ansia per quello che sta accadendo nel mondo, sappi che non sei solo. Non c’è niente di sbagliato in te. La paura è una parte sana del nostro sistema di sopravvivenza, ed è anche un segnale che hai un cuore aperto.

Più che combattere l’ansia, prova a guardarla. Dai un nome a ciò che senti: è impotenza? Rabbia? Tristezza? Confusione? Dare un nome alle emozioni aiuta a farle esistere con meno violenza. Scrivile, disegnale, parlane con qualcuno di fidato.

Ricorda: non puoi contenere il dolore del mondo intero, ma puoi ascoltare il tuo.

Creare spazi di respiro: proteggere la mente dal sovraccarico

In un mondo iperconnesso, una delle scelte più coraggiose è disconnettersi. Non si tratta di ignorare, ma di proteggere. Se senti che le notizie ti soffocano, dai loro un ritmo. Scegli momenti specifici in cui aggiornarti, preferibilmente non prima di dormire. Se puoi, prediligi fonti attendibili e non sensazionalistiche.

Allo stesso modo, prenditi cura della tua “dieta emotiva”. Così come non mangeresti cibo avariato, non permettere che la tua mente si nutra solo di tragedie. Cerca anche storie di speranza, di solidarietà, di ricostruzione. Esistono, e sono fondamentali per mantenere viva la fiducia nel genere umano.

Rituali di stabilità: il potere delle piccole cose

Quando il mondo fuori trema, le piccole cose diventano ancore. Un caffè al mattino, una passeggiata nella natura, un libro che ti scalda il cuore, una canzone che ti riconnette al tuo respiro. Questi gesti non sono fughe, sono resistenze. Sono modi gentili per dirsi: “Io ci sono ancora. Io tengo. Io continuo.”

Crea dei rituali quotidiani che ti aiutino a tornare nel presente. Può essere meditazione, yoga, scrittura, cucina, oppure semplicemente guardare il cielo per qualche minuto. Il presente è l’unico luogo sicuro in cui possiamo davvero abitare.

Un potente antidoto all’impotenza è l’azione. Non puoi cambiare il corso delle guerre, ma puoi scegliere di essere una presenza positiva nel tuo piccolo mondo. 

Fare qualcosa, anche di piccolo, restituisce un senso di potere e dignità. È un modo per dire: “Io non posso cambiare tutto, ma non rimango immobile. Io scelgo di essere luce, anche nel buio.”

Anche la notte più lunga ha una fine

Se senti che l’ansia diventa troppo grande, che ti impedisce di vivere con serenità, non aspettare. Rivolgiti a uno psicologo, a un terapeuta, a una figura di sostegno. Chiedere aiuto non è segno di debolezza, è un atto d’amore verso sé stessi. La salute mentale va curata come qualsiasi altra parte del nostro corpo.

Non sei solo. Non sei sbagliato. Stai semplicemente sentendo il mondo, e questo, in fondo, è un segno di umanità profonda.

Viviamo un’epoca complessa, carica di dolore ma anche di possibilità. È facile sentirsi schiacciati, sopraffatti, impauriti, ma dentro ognuno di noi c’è un rifugio, una lanterna, una voce che sussurra: “Resisti. Respira. Torna a te.”

La guerra, fuori, non possiamo sempre fermarla. Ma quella dentro . Possiamo imparare a calmarla, ad accoglierla, a trasformarla in qualcosa di nuovo: cura, compassione, speranza.

E mentre fuori il mondo cambia, possiamo scegliere – ogni giorno – di essere un piccolo angolo di pace.

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Buon vento 

Federico Piccirilli

Psicologo, Psicoterapeuta

Terapie Brevi

Terapia a Seduta Singola

Ricevo a Monterotondo (RM) e ONLINE