Dire mi dispiace non secca la lingua

Amare significa non dover mai dire mi dispiace.

Già sentita questa frase? Ma sì, dai; è strafamosa!

Tratta dalla bibbia dei testi d’amore, Love Story, ha fatto il giro del mondo attraverso l’omonimo e ancora più fortunato film, ancora oggi, a distanza di quasi cinquant’anni, scaricato e conosciuto dagli adolescenti e da qualche nostalgico.

… non dover dire “mi dispiace” (da alcuni tradotto anche come “non dover mai chiedere scusa”).

Sarà vero?

Se esistesse la perfezione, e se essa fosse praticabile, sì, sarebbe un’affermazione condivisibile.

Dato però che, purtroppo o per fortuna, siamo sommamente vulnerabili, ecco che la capacità di dire mi dispiace, o chiedere scusa (anche se non è la stessa cosa, se vogliamo guardare al pelo nell’uovo), all’interno di un rapporto d’amore assume un solido ruolo coesivo.

Ciò è vero in quanto è vero che si sbaglia.

A chi non è successo?

La consapevolezza dell’errore, e soprattutto l’umiltà di riconoscerlo, non sono doti poi molto diffuse. Molto spesso i rapporti d’amore, anche i più belli, naufragano semplicemente nell’incapacità di chiedere scusa.

Orgoglio, vergogna, vittimismo: carcerieri del sentimento, cattivi consiglieri dell’amore.

L’orgoglio bisbiglia all’orecchio di non cedere, di non darla vinta.

La vergogna lega le mani e tappa la bocca.

Il vittimismo scava come un tarlo e si trasforma in scusa.

Eppure può capitare di sbagliare. Anche di ferire e offendere. Non siamo macchine perfette, ma piuttosto fragili contenitori di emozioni. La tensione sul lavoro, i normali ostacoli e problemi della quotidianità, persino, perché no, un momento di crisi all’interno della coppia, inducono a fare e dire ciò che non si vorrebbe né fare né dire.

Parole e sguardi che diventano lame, e feriscono. Provocazioni, usate come personale, e vile, sfogo alle proprie insoddisfazioni o problemi; persino l’eventualità del tradimento.

Può capitare, e in tal caso pronunciare un bel “mi dispiace”, o “scusa”, non seccherà di sicuro la lingua, purché ovviamente, come spesso accade con le peggiori cose, non si trasformi in abitudine, in vizio. Per spiegarla con la metafora, un conto è fumare una sigaretta o bere un cognac, un altro è trasformarsi in tabagisti o alcolizzati, facendo del male a se stessi e agli altri.

In un rapporto di coppia c’è quasi sempre un dominante; e non solo nella coppia ma anche nell’amicizia, in famiglia, sul lavoro. Personalità che potremmo definire più invadenti, più imponenti, ma non per questo necessariamente prepotenti.

Quello che però caratterizza un rapporto d’amore vero, è la compenetrazione non solo dei corpi, ma delle anime, del sentimento. Vivere delle emozioni reciproche, assaporare le gioie e sentirsi addosso gli altrui dolori. Insomma, chi ama non può fare del male all’amato. Se capita – e, ribadiamolo, può capitare – il dolore gli si ripercuote addosso, accresciuto dalla consapevolezza di esserne l’artefice.

Chi ama davvero vuole vedere sul volto del partener il sorriso, non le lacrime, o la rabbia per un’offesa che brucia.

  • Saper riconoscere i propri errori.
  • Non abusare dell’altrui pazienza.
  • Non giocare con la sicurezza dei propri e degli altrui sentimenti.
  • Non usare l’altro come valvola di sfogo.
  • Non dare per scontato che l’altro abbia già perdonato.
  • Non esagerare. Il rischio è quello di apparire falsi.
  • Non perdersi nell’analizzare le motivazioni che hanno portato a dover chiedere scusa.
  • Avere la pazienza di aspettare la disponibilità dell’altro.

Sono semplici regole che aiutano non solo a dire “mi dispiace”, ma anche a fare in modo di non doverlo dire con troppa frequenza.

Uno dei rischi latenti di questa frase è infatti il trasformarla in comoda ed egoistica strategia comportamentale: un bel sorrisetto, uno “scusami”, e il gioco è fatto, semplice, facile, ripetibile all’infinito. Fino a che però l’altro non si rompe, e un bel giorno suggerisce dove mettere quelle patetiche e false scuse.

Per riassumere dunque, amare significa anche dire mi dispiace, ma soprattutto significa dispiacersi sinceramente se capita – e ripeto, capita – di ferire.

Tutto il resto è falsità e prepotenza.

Due ultimi consigli, da psicologo:

  • non ridurre il “mi dispiace” a una semplice frase di circostanza, ma accompagnala con l’azione, il sorriso, il calore di una carezza, un piccolo gesto o una semplice cosa;
  • non attendere troppo. Il “mi dispiace” è un po’ come la vendetta: piatti da gustare caldi. Il tempo infatti stempera le motivazioni ma ne pietrifica gli effetti.

E ora, scusatemi se sono stato noioso. Mi dispiace.

 

Buon vento

Federico Piccirilli

Psicologo, Psicoterapeuta

Terapie Brevi

Terapia a Seduta Singola

Ricevo a Monterotondo (RM), Fonte Nuova (RM) e Online

 

 

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