Da Padre a Figlio (e viceversa)

Inizierò con un racconto per stomaci forti. Avvertirvi è doveroso: un qualcosa in bilico fra Pulp Fiction, Non aprite quella porta e la più bieca produzione di cinepanettoni all’italiana.

Allora, pronti?

Liceo scientifico di un posto di provincia del centro Italia, qualche anno fa, tre (forse quattro😅) decenni per la precisione. Classi piccole, ambiente piuttosto esclusivo nel contesto giovanile e sociale del luogo e del tempo. Fra i frequentanti ci sono anche due fratelli, per così dire “di alto lignaggio”; sono i rampolli di una famiglia nobile del posto, vivono in un castello, vestono come se fossero usciti daFrankenstein, o meglio Frankenstein Junior di Mel Brooks, vanno bene a scuola anche se non benissimo, un po’ perché studiano un po’ perché sono paraculati (e comunque studiano!). Non dicono parolacce, non usano scarpe da ginnastica se non a ginnastica, ascoltano solo musica classica e se vedono un cantante punk si sbriciolano come vampiri al sole; sono in grado di tenere il dito alzato e la pipì per quattro ore di seguito se nessuno se li fila, ma soprattutto, udite udite … non masticano chewingum! E dici niente!

Quello di un ragazzotto brufoloso e in piena tempesta ormonale che ti rumina in faccia è l’incubo di ogni professore dal ventesimo secolo a tutt’oggi. Gli otorinolaringoiatri dei nostri tempi hanno accumulato fortune curando laringiti causate da “Se non sputi quella maledetta gomma ti spedisco dal Preside!”; i più coraggiosi aggiungevano “… a calci in culo!

Loro, i fratelli di nobili natali, non masticano gomme per legge secolare e inviolabile di famiglia, che bandisce tale diavoleria più o meno come in una famiglia normale si bandisce la cocaina. Non le masticano neppure per pulirsi i denti dai rimasugli di panino dell’intervallo (loro hanno spazzolino e dentifricio, e comunque non mangiano panini), non ne hanno mai comprato un misero pacchettino, non sanno cosa significhi avere la striscia di Gomma del Ponte secca e scolorita nel portafoglio, accanto al profilattico di rito nella sua bustina altrettanto secca e scolorita, declinano con educazione e una punta di disprezzo l’eventuale offerta da parte dei compagni.

Eppure qualcosa non torna.

Si vocifera che sono stati visti masticare in modo nettamente isterico in bagno, velocissimi, fra un’ora e l’altra, guardandosi le spalle a vicenda. I sospetti crescono anche per intromissione diretta nel dibattito del solerte bidello, custode di segreti studenteschi di intere generazioni nonché abilissimo ricattatore, che, punto primo, li ha beccati diverse volte uscire furtivi da aule ormai vuote, secondo, da qualche tempo riscontra, con piacevole sollievo, un sensibile calo di lavoro in uno dei compiti più ingrati: pulire, dopo la superficie superiore, pure quella inferiore dei banchi.

E ora, vi avverto, arriviamo al momento trash, al truce e insano connubio fra Tarantino e Alvaro Vitali (sia ben chiaro, prima che fraintendiate l’intento, che la mia è solo una facile battuta e che non sono messi per nulla in discussione la grandezza artistica e il valore di entrambi).

I due nobili fanciulli di alto lignaggio, crudelmente soprannominati a furor d’Istituto I fratelli Karamazov, bianchi come mutande candeggiate, con la riga dei capelli perfettamente dritta, i colletti stirati e il papillon con l’elastico, le iniziali ricamate assieme allo stemma del casato, le scarpe lucide, l’autista al portone, le posate per la sbucciare la mela … da mesi, se non anni (qualcuno sospetta che una tale perizia fosse frutto di esercitazioni sin dai tempi dell’asilo) staccavano con meticolosa costanza e maestria sopraffina le gomme dei compagni masticate, ruminate, insalivate e infine appiccicate sotto ai banchi con le dita più zozze del globo. E se siete ancora qui, o avete appena fatto ritorno dal bagno dopo aver vomitato, aggiungo che il solerte bidello aveva scoperto che avevano pure affinato una tecnica per reidratare quelli vecchi. Tipo prugna secca, per intenderci.

A questo punto i sopravvissuti fra di voi penseranno a un articolo sul bullismo magari, e invece no. Quella che ne nacque non fu una presa per i fondelli, l’emarginazione dei riciclatori ante litteram, ma una colossale figura di merda, dei genitori, ovviamente, convocati dallo stesso preside con la richiesta di chiarire perché diamine non venisse consentito a quei due poveri disgraziati di masticare un cicles come adolescenza (e non solo adolescenza) comanda.

Ergo?

Ergo, ecco un principio fondamentale per ogni genitore, ma anche per ogni insegnante, superiore, semplice cittadino, adulto: ai ragazzi deve essere consentito sempre e comunque di essere dei ragazzi, vestire da ragazzi, mangiare da ragazzi, ascoltare roba da ragazzi, fare cose da ragazzi, alla luce del sole come nel buio antro delle proprie lenzuola.

Perché puntualizzo questo? Perché riscontro che il tempo passa, le mode cambiano, con esse grazie al cielo (in realtà, grazie all’intelligenza e al progresso civile) le idee, ma le capocce degli adulti di ogni frazione di tempo storico, no! lo puntualizzo pure perché oltre che psicologo sono pure padre, e la tentazione di tuonare “Eh no, giovanotto, tu i capelli da pagliaccio non te li fai!”, è la medesima a New York come a Monterotondo, ieri come oggi e forse pure domani, quando sarà mio figlio a trasecolare per la pettinatura alla moda del suo.

E aggiungo che è proprio dal “me padre”, più che dal “me psicoterapeuta”, che nasce il forte sospetto che sotto sotto quello ci frega è essenzialmente l’invidia. Non è uno scontro fra generazioni, ma fra pelata e cresta con la permanente, fra calvizie e ipertricosi preadolescenziale.

C’è poi pure una sorta di vendetta a ritroso, incancrenita e reiterata, trascinata per secoli come un cadavere nella polvere: “Eh no, bello mio, se non è stato permesso a me, col cavolo che verrà permesso a te!

Noi, adulti, seri, pieni di esperienza e poveri di sogni, per quanto ci atteggiamo a “scànsate, perché io so’ avanti anni luce!”, guardiamo con ammirazione al tredicenne vestito come un geometra del comune e storciamo il naso se nostra figlia arriva a casa per mano a uno con i dilatatori alle orecchie e il cerchio al naso. Non parliamo poi se i dilatori, il septum e la cresta se li vuole fare lei!

Lo so che stai commentando: “No, io no che non sono così!”. E infatti non è a te che mi rivolgo, ma al tuo amico, a quello che, assieme ad altri milioni di “io no, non sono così” invece lo è. Magari ci sono anch’io; ci siamo un po’ tutti, in fondo.

Morale: i ragazzi hanno bisogno di masticare la vita, in modo compulsivo e anche maleducato. Se non lo fanno, o meglio, se viene loro impedito di farlo, finiranno per biascicarne i rimasugli sputati da altri.

Il loro corpo è come un cofanetto stracolmo di gioielli e trucchi da scoprire e usare tutti in una botta, in modo sfacciato, anche se il risultato finale sarà da carnevale di Rio, non come la reliquia di qualche santo da tenere sotto naftalina e formalina, … e poi siamo sinceri … chi non preferisce il carnevale di Rio a una salma incartapecorita in una teca?

I ragazzi hanno occhi curiosi e avidi; guardano, vedono, e copiano. Vedono il cantante, l’influencer, la pubblicità, e ne restano giustamente affascinati, coinvolti. L’essere uguali nell’imitazione (cosa che ci desta tanta puzza sotto al naso, dimenticandoci di quando, come orde di zombie, vestivamo da dark emaciati, o da paninari bauscia pure se pugliesi) risponde a un’esigenza di appartenenza, di spirito di corpo.

Ficchiamoci inoltre in testa che ogni moda, ogni estrosità, non è che l’esternazione materiale di un reale e profondo cambiamento sociale e mentale.

Vi voglio fare un esempio: oggi fra gli adolescenti di sesso maschile, complici anche il successo e la diffusione di fortunati Talent Show e Reality, sta diventando virale l’uso dello smalto sulle unghie e del trucco sul viso. Preciso – ed è doveroso il farlo – che ho scelto questo esempio deliberatamente in quanto la rigidezza e la limitazione nei confronti dell’estetica maschile è decisamente più spiccata che non a riguardo dell’adolescenza declinata al femminile.

Ebbene, dietro questa moda che, prevedo, scatenerà non poche crisi e scenate familiari da qui ai prossimi mesi, si nasconde quello che sarà un nobile passaggio mentale della società a venire, ovvero la padronanza del proprio corpo, la rottura degli stereotipi, la libertà estranea ai vincoli di qualsiasi natura, una moralità più profonda e sincera, meno di facciata, la condanna del sessismo, il crollo del maschilismo.

Tutto in una mano maschile smaltata di nero o in una zazzera rosa?

Sì, perché no! Avete qualche idea migliore per mettere in scena una rivoluzione pacifica? Se sì allora fatelo. Cosa aspettate? Da domani più nessun pregiudizio, nessun razzismo, nessun sessismo.

Staremo a vedere se l’esperimento riuscirà.

Intanto, nell’attesa che avvenga il miracolo sociale senza la fatica di muovere un dito, e magari criticando chi il dito invece lo mostra, ok, continuiamo pure a trasecolare se nostro figlio ci chiede di farsi i buchi alle orecchie e la chioma arcobaleno, diciamogli pure “ne riparliamo fra un anno” sperando che cambi idea o si dimentichi, prospettiamogli più o meno accreditate e plausibili catastrofi future quali il crollo della cartilagine delle orecchie (tipo la zia Iole, che aveva i lobi a livello clavicole) piuttosto che lo spettro dell’alopecia appena passata la maggiore età, però ricordiamoci di dare il giusto peso allo cose, giusta fiducia alle persone e giusto valore alle idee.

I piercing possono essere messi come tolti, i capelli tagliati, tinti o fatti crescere a piacere, almeno fino a che ci sono – e comunque pure la pelata ha un gran fascino – i tatuaggi no, non vanno via facilmente ma diventano storie di vita, per lo smalto c’è l’acetone, oppure un nuovo colore da cambiare, ma il vero valore, la cosa preziosa da portare avanti in questo mondo e in quello futuro, è la libertà di pensiero, di parola, di opinione, è il rispetto, per chi ha il rossetto e per chi non ce l’ha, per chi si tinge di verde e per chi ha la pelata, è la crescita delle idee e la costruzione di un mondo in cui il pregiudizio e lo stereotipo cedano il passo alla sostanza di quella meraviglia esplosiva che è l’intelletto umano. È, in sostanza, l’essenza del benessere psichico individuale e collettivo.

Direi che tutto sommato basta mettere in atto il principio di non esagerare, perché, come diceva mia nonna, il troppo stroppia!

In conclusione … se la mia pelata t’ispira fiducia, sapendo fra l’altro che un tempo ha ospitato una folta chioma che ebbi pure l’ardire di sottoporre a permanente, puoi conoscerla direttamente a Monterotondo, oppure on line, dove pure fa la sua degna figura.

E ora, a voi buona Pasqua e il consueto buon vento; a me, il difficile ma nobile compito di dire a mio figlio

Ok, se ti piace, fallo!

“Le adolescenze troppo caste fanno le vecchiaie dissolute.”

André Gide

 

Federico Piccirilli

Psicologo, Psicoterapeuta

Terapie Brevi

Terapia a Seduta Singola

Ricevo a Monterotondo (RM), Fonte Nuova (RM) e ONLINE