Memento Mori

Solo alla morte non c’è rimedio”, si diceva una volta e, forse, sempre si dirà. Al momento quest’affermazione è ancora straordinariamente vera, per il futuro … vedremo.

In fondo l’uomo da sempre tende all’eternità e concentra le sue forze per cercare di ottenerla.

La legge di natura? E chi se ne frega. Come ogni legge è nata per essere infranta e sovvertita, anche se con questa riuscirci sarà veramente dura.

 

Abbiamo uno strano rapporto con la morte, noi uomini del nostro tempo: il primo passo è combatterla con ogni mezzo, il successivo, e più pericoloso, è piegarla al nostro volere.

 

Non mi addentrerò in questioni puramente etiche, che esulano per complessità dallo spazio limitato di un semplice articolo, e neppure indagherò il difficile rapporto con l’idea della propria morte, in quanto riguarda tutt’altra sfera.  Non rivestirò la figura del professionista che sono; cercherò piuttosto di aprirmi come Federico, perché questo sono, e di rivolgermi a te non quale paziente o semplice amico, ma come altro essere umano con il quale condivido quella sensazione di impotenza e smarrimento che il mistero della morte provoca.

Affronterò quel momento di pianto, che chiamiamo lutto dal verbo latino lugēre, piangere, in punta di piedi e quasi sussurrando, con pudore, come si conviene di fronte a una vita che cessa.

Vedi, come già ho detto a proposito della sfera sessuale, spesso la terminologia medica, o comunque di settore, diventa fuorviante: “elaborazione del lutto”, così si definisce, ma vorrei farti una domanda, alla quale attendo risposta, pubblica, se te la senti, magari su fb in modo da poter promuovere uno scambio di idee, oppure privata, se lo preferisci.

La domanda è questa, e richiede  un semplice sì o no: “elaborazione del lutto”, ti piace?

Nell’attesa rispondo io. A me no.

Lo uso, questo sì, perché devo, ma fuori dell’esercizio della professione e dell’analisi accademica dei testi, mi restituisce l’idea di una cascata di ghiaccio frapposta fra mente e cuore.

Non ci è dato conoscere la morte e, in ragione di ciò, siamo costretti a rapportarla alla vita, della quale abbiamo invece profonda conoscenza.

La consistenza del corpo, gli odori, quella particolare sfumatura dell’iride, il suono della voce, quel modo di muovere il capo, di camminare, il calore di un corpo sfiorato e l’umido delle labbra, tutto ciò si annienta, in un attimo, scompare per non tornare mai più. La nostra mente fissa ogni particolare, lo incide a fuoco, ma è il corpo che se ne sente privato. Il tatto cerca la pelle, la vista insegue i contorni e i colori, l’udito anela a sentire i rumori, il gusto vuole la soddisfazione dei sapori, l’olfatto si aspetta gli odori, … inutilmente.  Il ricordo non basta. Noi  siamo fatti di sensi, se così non fosse saremmo puro spirito e né io starei qui a scrivere né tu a leggere.

 

La morte di una persona cara è un furto, per il quale non esiste denuncia né pena né rimedio,  che ciascuno di noi è destinato a subire. E in quel momento preciso ci chiediamo: “e ora? dov’è?”.

Cerchiamo la risposta nella fede, o nella scienza, o, perché no, in entrambe, ma nessuna di quelle che troveremo rimedierà alla privazione dei sensi.

We are such stuff  as dreams are made on“, dice Shakespeare ne La tempesta. Non è solo una frase di alto valore poetico, è anche verità, ma parziale: sì, siamo fatti della stessa materia dei sogni, ma rivestita di materia per così dire – e scusate il bisticcio linguistico – “materiale”.

Fra quella materia incorporea di cui sono fatti i sogni, i ricordi e l’anima, e quella tangibile dei sensi, le lacrime che accompagnano il lutto si pongono come anello di congiunzione.

Mai privarsene!

È un po’ come se l’angoscia che ci attanaglia il fiato e il pensiero trovasse attraverso le lacrime un canale preferenziale.

Senza le lacrime il dolore non esce dal nostro corpo, e fino a che non esce la ragione non riesce a prevalere sul dolore.

Lutto, lugēre, piangere: è questo che richiede la morte.

 

Ogni morte, come la relativa vita alla quale corrisponde, è unica:

  • alcune arrivano quasi come un sollievo, per la stanchezza e il peso di una malattia o anche solo dell’età;
  • altre lasciano stupore, perché inattese e insospettabili;
  • alcune arrivano dolcemente, come un bel film che è giunto alla fine ma che avremmo voglia di rivedere da capo;
  • altre sono devastanti, laceranti, perché innaturali secondo il normale svolgersi della vita;

tutte sono ugualmente degne di rispetto e lacrime.

Lo spirito dei morti sopravvive nella memoria dei vivi”, è la frase finale del film The Mission e in essa vi è un’inconfutabile verità che va ben al di là della fede.

Sai una cosa … sto provando a trovare una conclusione degna ma tutte  mi sembrano banali e scontate.

Parlarti di accettazione? Di rassegnazione? Della vita che continua? Dell’amore verso te stesso e verso chi ancora ti è vicino?

Tutte cose che già sai.

Di elaborazione del lutto?

No, non qui.

E allora che dirti?

Questo è un articolo, un post, non una seduta e neppure un semplice colloquio, e nel contesto io mi sento sguarnito di ogni diritto a darti consigli generici, quasi avessi pudore nel farlo. Perché tu sei unico e unici sono tanto il tuo dolore che la tua reazione.

Chiamami, questo è l’unico suggerimento che mi sento di darti.

Raccontami di chi non c’è più, di com’erano i suoi occhi, il suo odore, delle parole che vi siete detti o che avresti voluto dirgli. Raccontami un giorno della vostra vista, di gioia, di rabbia, comunque … di vita.

Pensa che dopo che me ne avrai parlato anch’io lo conoscerò, almeno un po’, attraverso le tue lacrime e il tuo cuore, e insieme riusciremo a trasformare quel ricordo nel sorriso che merita di essere.

Il vento trasporta anche i ricordi e le anime di coloro che sono stati, …almeno, a me piace pensarlo!

E allora, con tutto il cuore, buon vento.

 

 

 

Federico Piccirilli

Psicologo, Psicoterapeuta

Esperto in terapie brevi

 

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